Italiani a Londra preoccupati per la Brexit: “Ci sentiremo ancora più discriminati”

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AEMORGAN

Manca poco più di una settimana al referendum che deciderà le sorti del Regno Unito: continuerà o meno a far parte dell’Unione Europea? Non lo sappiamo, anche se gli ultimi sondaggi danno il fronte del Leave in vantaggio. E ciò preoccupa non solo la City, la Banca d’Inghilterra, gli imprenditori di multinazionali e gli inglesi che vivono all’estero, ma anche (e soprattutto) i tanti italiani che vivono e lavorano a Londra.

Il problema è che se la Gran Bretagna uscirà dall’UE, non si sa quale sorte toccherà ai tanti immigrati provenienti da un altro Stato Membro dell’Unione: tutto dipenderà dai negoziati tra l’organizzazione sovranazionale e il Regno Unito. Servirà un visto e uno sponsor per lavorare? Sarà limitato l’accesso alla sanità pubblica? Saremo espulsi dal paese nel caso perdessimo il lavoro? Pagheremo il doppio delle tasse per venire a studiare in UK? Sono tutte domande a cui per il momento non possiamo dare una risposta certa.

Gli italiani nel Regno Unito sono circa 600 mila – gran parte di questi vivono a Londra – e l’unica cosa che possono fare al momento è aspettare e sperare. “Se vincesse il Brexit, forse introdurrebbero visti, quote, limiti per le cure mediche. Forse cambierà poco. Di sicuro ci sentiremo ancora più discriminati. Perché sopra le nostre teste resiste il soffitto di vetro. Certi posti sono riservati alla “ruling class”, alla classe dominante formata nelle scuole della tradizione imperiale”, ha detto Giovanni Sanfelice, che ha una società di consulenza a Londra, al Corriere della Sera.

“Ho una società di consulenze con un’inglese figlia di un’ australiana e di un iraniano: infatti lavoriamo molto con Milano e con Teheran. Soltanto qui un trentenne ha queste opportunità. Si investe, si rischia, si assume; certo, se non funzioni ti prendono da parte e ti dicono che sei fuori. Per questo la competizione è fortissima, lo stress è terribile”, ha continuato il 39enne che comunque pensa che Londra, anche in caso di Brexit, non perderà la sua capacità attrattiva.

Londra resta una grande medusa che attira tutti, prende il meglio e tritura gli scarti. Le società sono attente a trattenere i talenti. Nella finanza gli italiani sono considerati i più svelti a comprare e a vendere; funzioniamo meno nel raccogliere i soldi, per cui servono contatti costruiti nel tempo. La grande differenza è che qui il capitale non viene chiuso in cassaforte; diventa merce di scambio e strumento di crescita. E questa non è una cultura che si possa esportare facilmente; neppure se vince Brexit”.

Le conclusioni di Lorenzo Antinori, 29 anni, sono simili a quelle espresse da Giovanni, sebbene i due abbiano percorsi molto differenti alle spalle. Lorenzo è un bartender che ha fatto strada dal basso a Londra diventando oggi responsabile di un bar: nel libro del Savoy, per cui lavorava, ci sono tre cocktail di sua invenzione, ma ogni anno arriva secondo al campionato di cocktail.

“Ogni anno sono in finale al campionato di cocktail, e ogni anno arrivo secondo: deve sempre vincere un inglese. Loro ci guardano con simpatia ma anche con superficialità. Ci trovano charmant, rumorosi, affabulatori. Insomma: piacioni, casinari, provoloni”. Ovviamente anche lui spera nel Remain: “Noi siamo ospiti. Potremo restare? I barman sono molto richiesti: non si ha idea di quanto bevano gli inglesi; i migliori hanno offerte da Singapore e Hong Kong, ora anche da Filippine e Nigeria”.

“Ma gli altri ragazzi? Conosco bene la loro vita, perché l’ho fatta. Non mettono da parte nulla. Londra però ti dà quel senso di libertà e dinamismo che in Italia non trovi. In Italia sei sempre lì a fare certificati; qui non contano le raccomandazioni, solo il merito. La precarietà non è legata a un contratto ma al valore: se non vali ti mandano via; se vali puoi crescere. E’ questo sentimento di essere padroni della propria sorte a fare la differenza. Se Brexit ce lo togliesse, sarebbe dura”.