Open mic sta per open microphone, letteralmente “microfono aperto”, ed è il corrispettivo delle “jam sessions”, in genere più orientate verso il jazz.
A mio cattedratico parere l’Open mic è un’alternativa e risposta alle jam sessions dove quasi sempre i cantanti finiscono emarginati e si ritrovano a dover sgomitare per ritagliarsi il loro momento sul palco, in una giungla di musicisti agguerriti e che si suonano addosso senza tregua.
Il Troy bar di Londra, il martedì sera, è invece dei cantanti: entri, ti controllano la borsa “can I check your bag please” (la prima volta ho dato uno strattone alla mia borsa indignata della richiesta..), paghi 5 pound, un gradasso dietro una scrivania ti mette un timbro sul palmo della mano e una penna in mano: scrivi il tuo nome e il pezzo che vuoi cantare nella scaletta della serata e ti butti in piscina.
Non si sa se l’acqua sarà fredda o calda, ma se non ti butti non lo saprai mai.
Il club è nel cuore dell’est londinese, Hoxton street, zona Shoreditch: cool è dir poco. Alle pareti spiccano graffiti di Billie Holiday e Louis Armstrong ma da quell’epoca ne è passata di birra sotto i ponti…
C’è una resident band, stessi musicisti martedì dopo martedì, che accompagnano le performance dei vari artisti e una volta tanto si può veramente dire che i musicisti sono completamente al servizio della voce (cattiveria gratuita.. ma perdonatemi, sono una cantante…!).
La cantante che dirige l’open mic da vera diva è sempre in ritardo e infatti lo show non comincia mai prima delle dieci e mezza: mettetevi l’anima in pace, il giorno dopo al lavoro sarete una via di mezzo tra Smigol e Gollum ma, datemi retta, ne sarà valsa la pena.
Il pubblico è quasi totalmente “black” e la musica pure, quel tipo di audience ti fa capire molto velocemente e senza mezzi termini se la tua performance è di loro gusto o no: applaudono e urlano “yeah” se stai spaccando, fischiano e sbraitano se stai facendo schifo.
Inizia lo show: la host è uno splendido esemplare di donna nera fiera, con ciglia finte giganti e unghie da strega, capelli quasi a zero biondo platino; sale sul palco con un fare sicuro e groovoso, i musicisti sistemano gli strumenti, le prime promettenti note fanno da antipasto ad una cena coi fiocchi…e arriva il momento: la batteria fa un megagalattico fill, entra la musica e di colpo siamo tutti pettinati!
Il locale è strapieno e non si riesce a respirare: sono una dei cinque bianchi in sala e i miei capelli lisci e sciolti mi cominciano a seccare stasera..
Hannah, la pantera platinata, comincia ad invitare i cantanti sul palco: lei canta come se fosse il suo ultimo giorno sulla terra e la band è fuoco puro.
Se vi piace il gospel, il soul, l’r&b, il nu soul non potete non fare un salto da queste parti. La cucina è di tradizione caraibica e di gusto discutibile. Ma anche quello fa colore!
Sul palco si alterna di tutto:
– songwriter californiani con chitarra e canzoni tristi;
– cantanti con più pancia che voce e più voce che orecchio;
– una Beyoncè in erba con apparecchio fisso ai denti e occhi adolescenti increduli;
– un poeta con manoscritto intitolato “the city” che non può e non deve rimanere nel cassetto;
– tre coristi della madonna seduti di fronte al palco che riescono ad armonizzare ogni volo di mosca.
Il primo pezzo è una specie di pedale acquatico su cui Hannah canta “Troy bar… welcome to the Troy bar…” e poi, sempre cantando, elenca le tre regole della serata:
1° rule: respect the Mic
2° rule: enjoy yourself
3° rule: buy me some food…!
Hannah è melodica e soave come una sirena, chiudo gli occhi e mi sembra di ascoltare un disco invece suonano live e a due passi da me. Mi vengono in mente decine di dischi che ho consumato: da Baduism (E. Badu) a Who is Jill Scott (J. Scott) a Brown sugar (D’Angelo) a Aijustwannaseing (Musiq)…
Impossibile non innamorarsi, impossibile non bere un’altra birra impossibile stare fermi sulla sedia impossibile non decidere “ok, domani stesso imparo a cantare”.
Indirizzo: 10 Hoxton Sq.
Fermata metro: Old Street
Costo: 5 sterline
Orario: 10.30 pm
Stile: Soul/Nu Soul/Funk/R&b
Controindicazioni: lasci il lavoro serio e ti metti a fare l’artista