Coronavirus: ecco cosa si sa della variante indiana che inizia a preoccupare il Regno Unito

3262
AEMORGAN

Mentre la vita nel Regno Unito sembra aver riacquistato una parvenza di normalità grazie alla fine del lockdown e al forte allentamento delle restrizioni, nell’ultima settimana ha destato preoccupazione la diffusione di un’altra variante del Coronavirus.

Tale variante, identificata con la sigla B.1.617, prende il nome di “indiana” in quanto è stata sequenziata e segnalata per la prima volta in India. Attualmente proprio il paese asiatico sta subendo una tragica ondata di casi tanto che il primo ministro inglese Boris Johnson ha cancellato la sua visita a Nuova Delhi in programma per la prossima settimana.

Per il momento nel Regno Unito sono stati registrati 77 casi collegati alla variante indiana. I medici britannici ancora non parlano di allerta vista la scarsa e limitata diffusione, ma a preoccupare è il livello di trasmissione che sembra essere molto più elevato rispetto a quello delle altri varianti.

Ancora non si conoscono nel dettaglio le proprietà della variante indiana, ma è certo che è caratterizzata da due mutazioni rispetto al ceppo originario che la rendono maggiormente trasmissibile. Per questo motivo il professor Andrew Hayward dell’University College di Londra ha suggerito a livello precauzionale di impedire i viaggi verso l’India almeno per le prossime due settimane: “C’è un livello di rischio sconosciuto, bisognerebbe agire prima piuttosto che dopo. Ma alla fine, questa decisione spetta alla politica“.

Riguardo all’argomento il professor Jeremy Brown, immunologo all’University College di Londra e membro del Joint Committee of Vaccination and Immunisatio, ha ipotizzato anche la somministrazione di una terza dose di vaccino per scongiurare un’ennesima ondata di contagi dovuti proprio alla diffusione delle varianti del virus. In merito alla questione le case farmaceutiche già si stanno attivando per aggiornare i vaccini a tecnologia RNA e renderli efficaci contro le varianti.

L’obiettivo della sperimentazione è, quindi, quello di riuscire a minimizzare la carica virale e l’aggressività del Coronavirus: solo in questo modo si potrà arrivare a considerarlo come un semplice virus influenzale da poter tener sotto controllo con un vaccino aggiornato di anno in anno.