Covid, Inghilterra: la variante indiana rischia di frenare la ripartenza

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AEMORGAN

La variante di Covid B.1.617.2, particolarmente contagiosa e identificata per la prima volta in India, preoccupa il governo inglese. I primi focolai emersi mercoledì sembravano piccoli e facilmente controllabili, ma ora c’è seriamente il rischio che le cose possano sfuggire di mano. Intanto, il sistema a semaforo del Regno Unito considera 170 Paesi -tra cui quasi tutta la UE- ancora in lista gialla.

L’ultimo aggiornamento nelle direttive sui viaggi all’estero non cambia la situazione per i gli spostamenti da e verso l’Europa. Ad esclusione del Portogallo, praticamente tutta l’Europa resta “zona gialla“: ci si può andare solo per motivi importanti e comprovati. Dunque niente turismo in Spagna e in Grecia, né visita ai parenti in Italia, e contrazione del settore del 95% rispetto al periodo pre-pandemico. In lista “verde” -quella che esenta dalla quarantena- si contano solo pochissimi Paesi e isole. In tutti gli altri casi, tamponi e a go-go quando va bene, e Quarantine-Hotel se dice male; pena, multe pesanti da migliaia di Sterline.

Lo ha confermato Boris Johnson in un recente discorso alla Camera dei Comuni, in cui si è trovato a difendersi dalle accuse del leader dell’opposizione Keir Starmer; a dire di quest’ultimo la roadmap governativa sarebbe troppo audace e, tra riaperture massicce e varianti del virus, rischia di far precipitare il Regno Unito nuovamente nell’incubo.

Sembra passato un secolo da quando, solo il 10 maggio scorso, il premier britannico forniva una narrazione piuttosto ottimistica dello stato della pandemia in UK, e annunciava un ulteriore allentamento delle restrizioni a partire dal 17 maggio. Il 10 maggio tuttavia era anche il giorno in cui, per la prima volta da lungo tempo, si è registrata un’impennata delle infezioni da Covid-19 rispetto alla settimana precedente. La ragione principale di questo aumento anomalo è stata attribuita da molti osservatori alla diffusione della cosiddetta “variante indiana.” Tant’è che solo 4 giorni dopo, Johnson ha dovuto tenere un’altra conferenza stampa in cui annunciava la possibilità di un rallentamento della roadmap anzi “una battuta d’arresto dei progressi fatti.”

Se infatti la variante in questione si dimostrerà molto più contagiosa, controllarne la diffusione potrebbe diventare complicato, anche con una copertura elevata di vaccinazioni. Se poi dovesse risultare addirittura resistente ai vaccini, si rischierebbe perfino di dover tornare indietro. Per ora, la ricerca sembra piuttosto incoraggiante in questo senso, ma non abbiamo ancora evidenza scientifiche definitive. Ecco perché, in una intervista a BBC Radio 4, il direttore del Wellcome e membro del SAGE Jeremy Farrar ha invitato alla cautela, affermando che non è ancora giunto il momento di incontrare le persone al chiuso.

A fargli da contraltare ci ha pensato il ministro della Salute Matt Hancock, presente a programmazione unificata in tv, per rassicurare il grande pubblico e invitare tutti a vaccinarsi. A dire di quest’ultimo, il picco di contagi è dovuto al rifiuto del vaccino da ampie porzioni di popolazione; ipotesi tuttavia scartata dall’Independent SAGE che nega questa presunta “esitazione vaccinale” e ammonisce: mancano ancora 2 mesi all’immunizzazione con prima dose della popolazione adulta, il che significa che le riaperture sono state semplicemente troppo affrettate.

Gli ultimi dati confermano che le vaccinazioni hanno raggiunto quota 58 milioni, ovvero “il 70% della popolazione adulta” sottoposta almeno a prima dose. Ma i nodi cruciali restano: si può contenere la variante indiana? E i vaccini attualmente disponibili sono efficaci? Su questo si gioca la partita nelle prossime settimane; e se la scommessa è stata cannata, ci rimetteremo tutti.