In UK è record disoccupazione al 4,7%, eppure ci sono 1 milione di posti di lavoro disponibili!

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AEMORGAN

Strana situazione quella in cui si trova il Regno Unito dopo la Brexit, per quanto almeno in parte ampiamente preventivata quando vennero definiti gli accordi con l’Unione Europea. Complice anche la pandemia, la quale però non è per niente unica o principale causa, sono attualmente disponibili sul mercato 1 milione di posti di lavoro, tuttavia il tasso di disoccupazione ha raggiunto un massimo storico, quello del 4,7%.

Quello che si riscontra dunque è il mancato incontro tra domanda e offerta che – sorpresa solo per i meno attenti – veniva ampiamente riempito dal bacino fornito dall’immigrazione a scopo lavorativo. Come dire, le migliaia di italiani che varcavano i confini del Regno Unito senza difficoltà servivano anche a sopperire a questa mancanza. La prova si riscontra nel fatto che, oltre alla penuria di prodotti e servizi, questo stato di cose si riflette non soltanto nei lavori più umili, come per esempio gli impieghi non specializzati nella ristorazione, ma anche in ambiti più specializzati come gli autotrasporti, la programmazione di computer, l’assistenza sanitaria e l’agricoltura.

La Gran Bretagna registra circa 250mila persone disoccupate in più e in cerca di lavoro dall’inizio della pandemia, ai quali si aggiunge il milione di persone che stanno lavorando part time con i sussidi del governo (e che forse perderanno l’impiego alla fine del mese, quando scadrà il relativo programma) o che semplicemente non lavorano.

Il mercato del lavoro del Regno Unito si trova a un punto di stallo: mentre i datori di lavoro hanno numerose posizioni vacanti da riempire ci sono tantissime persone in cerca di un impiego, tuttavia i lavori a disposizioni non corrispondono all’idea che i disoccupati in questione vogliono o sono preparati a svolgere. A sostenerlo, dati alla mano, è Niki Turner-Harding, vice presidente di Adecco UK & Ireland.

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Molte le possibili risposte a questo mistero. Non ci sono dati ufficiali, ma si stima che circa 200mila cittadini europei abbiano lasciato la Gran Bretagna negli ultimi tempi, mentre la Brexit ha decisamente limitato il movimento libero attraverso le frontiere britanniche per i lavoratori europei.

La pandemia ha anche provocato un terremoto dal punto di vista psicologico: in molti, infatti, si sono interrogati sulle proprie priorità e sui lavori che svolgevano, spesso con un effetto rivoluzionario dato che centinaia di migliaia di persone hanno lasciato il proprio lavoro per iscriversi a un corso di studi (evidentemente per migliorare il proprio status preferendo lavori più flessibili). La percentuale di persone che non sono disponibili sul mercato perché stanno studiando è, infatti, la più alta dall’inizio degli anni ’90.

La speranza della Gran Bretagna è che le persone che si stanno avvalendo degli aiuti statali – che impediscono alle aziende di licenziare, con la copertura di un massimo dell’80% del salario – procurerà un buon bacino di lavoratori dai quali attingere. Durante lo scorso anno e mezzo, infatti, il programma ha coinvolto 11,6 milioni di lavori. Purtroppo però non è detto che le competenze di questi disoccupati a breve termine combaceranno con quelle richieste dal mercato, e ciò mette sul tavolo anche la questione dei programmi di sviluppo e formazione, attualmente assenti.

E tuttavia la situazione potrebbe essere molto peggiore. La scorsa estate la Gran Bretagna si preparò a questa crisi – le cui previsioni più fosche parlavano di un tasso di disoccupazione del 15% per la fine del 2020 – raddoppiando il numero del corrispettivo degli italiani navigator, ovvero chi aiuta altre persone che percepiscono un sussidio a trovare un lavoro: un totale di 13500 persone in più, che sono riuscite ad arrestare la crisi arrivando all’attuale 4,7%.