Indetto il referendum sulla Brexit: cosa cambierà nel Regno Unito se resterà in UE

15922
AEMORGAN

Il referendum sulla Brexit diventa realtà: giovedì 23 giugno 2016 il popolo britannico deciderà se il Regno Unito resterà uno Stato Membro dell’Unione Europea o se sarà il primo paese a lasciare l’organizzazione sovranazionale.

Dopo l’accordo preliminare con il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, tutto è andato (più o meno) secondo i piani di David Cameron. Il Primo Ministro, infatti, ha negoziato e concluso un accordo “vincolante e irreversibile” con gli altri 27 capi di stato e di governo dell’UE nel summit tenutosi a Bruxelles il 18 e il 19 febbraio e ora potrà condurre la campagna per il “sì” alla permanenza nell’Unione.Ho negoziato un accordo per dare al Regno Unito uno status speciale dentro l’Ue”, ha detto Cameron al termine della riunione del Consiglio Europeo. Dopodiché, il Consiglio dei Ministri britannico ha approvato la decisione di favorire la permanenza della Gran Bretagna all’interno dell’Unione. “Andrò in Parlamento e proporrò che il popolo britannico decida il nostro futuro in Europa attraverso un referendum giovedì 23 giugno”, ha dichiarato Cameron dalla sua residenza al numero 10 di Downing Street, “non amo Bruxelles, amo il Regno Unito e sono il primo a dire che ci sono molti modi in cui l’Europa deve migliorare e che l’obiettivo di riformare l’Europa non si conclude con l’accordo di ieri. Non ho mai detto che il nostro Paese non possa sopravvivere fuori dall’Europa. La domanda [del referendum] è però questa: Stiamo meglio dentro un’Europa riformata o staremmo meglio per conto nostro? Lasciare l’Europa minaccerebbe la nostra sicurezza economica e nazionale”.

Tuttavia, al di là delle dichiarazioni, cosa prevede l’accordo siglato a Bruxelles?

Una delle questioni principali riguardava l’accesso ai sussidi pubblici per i migranti europei: l’obiettivo di Cameron era quello di bloccare l’accesso ai benefit per i cittadini UE di nazionalità non britannica durante i loro primi quattro anni di permanenza nel Regno Unito. Il premier, inoltre, aveva chiesto che questa misura potesse essere applicata per un periodo di 13 anni. Cosa ha ottenuto? Il Governo britannico potrà applicare un “freno d’emergenza” per 7 anni: dall’entrata in vigore dell’accordo fino al 2023-2024, i nuovi lavoratori europei che arriveranno a Londra potranno accedere a tutti i sussidi previsti dalla legislazione britannica solamente dopo che avranno risieduto nel Paese per quattro anni. Invece, per quanto riguarda i child benefit destinati ai figli rimasti in patria di lavoratori emigrati nel Regno Unito, Cameron ha ottenuto l’indicizzazione di tali assegni, che saranno quindi pagati in base al reddito medio del Paese di residenza; tuttavia, tale misura entrerà in vigore solo dal 1° gennaio 2020.

Sul piano finanziario, le banche e le istituzioni finanziare inglesi manterranno un certo grado di autonomia sottraendosi in parte alle regole uniformi del mercato unico (“Single Rulebook”), anche se la City è comunque tenuta a rispettare le “condizioni di parità nel mercato unico” e i poteri delle authority europee di controllo. Inoltre, i paesi della Zona euro dovranno impegnarsi a rispettare gli interessi degli Stati che non ne fanno parte, ma quest’ultimi non potranno porre nessun veto alle norme che riguardano l’integrazione dell’Eurozona.

Infine, il Primo Ministro ha ottenuto che, quando si procederà con la prossima revisione dei Trattati, il Regno Unito sarà esentato dal proseguimento di uno degli obiettivi fondanti dell’Unione, “l’unione sempre più stretta” tra gli Stati Membri. Londra, poi, per rafforzare la propria sovranità, ha escluso ogni possibilità di partecipazione a un eventuale esercito europeo, all’euro, all’apertura delle frontiere e ai salvataggi finanziari degli altri stati.

Ovviamente, tale accordo entrerà in vigore solo se il popolo britannico deciderà di restare in UE; in caso contrario, si dovranno aprire nuovi negoziati per ridefinire il rapporto tra il Regno Unito e l’Unione.