Brexit, ultimo atto: conviene ancora fare impresa a Londra?

7521
AEMORGAN

Ora che siamo agli sgoccioli dello psicodramma chiamato Brexit, è tempo di un fare un bilancio della situazione, e soprattutto è ora di iniziare a dare una risposta -pur se parziale- alla domanda che angustia tutti: Londra è ancora capace di attrarre capitali e startup in Europa? Con le debite cautele, la risposta probabilmente è sì, ma molte cose sono cambiate e tantissime altre cambieranno presto.

La situazione non appare rosea e lo spettro del No Deal tutt’altro che scongiurato. Dopo aver chiesto e ottenuto dalla UE una proroga al 31 ottobre, infatti, il problema è solo rimandato di qualche mese. La speranza della May è di trovare un compromesso che metta d’accordo Unione Europea e governo in tempi stretti, ma a Westminster volano stracci, e ora ci ritroviamo nella paradossale situazione in cui il Regno Unito, in procinto di uscire dall’Europa, parteciperà alle votazioni europee 2019. Quasi verrebbe da ridere, se non fosse che in questo gran disastro politico ci viviamo noialtri.

Il vero problema comunque è un altro e riguarda i diritti e le agevolazioni di cui hanno goduto le attività commerciali e i business d’Oltre Manica, come la libera circolazione di merci e cittadini; diritti e agevolazioni che potrebbero sfumare in un istante come vapore tra le dita, se l’hard Brexit dovesse concretizzarsi. Ed è di questo che si parla all’Italy 4 Innovation, l’iniziativa messa in campo dall’Ambasciata Italiana a Londra.

L’idea è di aumentare la permeabilità tra le startup italiane e gli investitori inglesi, e viceversa, e tra istituzioni e partner di eccellenza al di là dei meccanismi europei; in pratica, la speranza è di mettere su canali alternativi che reggano alla Brexit e alle inevitabili alterazioni in arrivo.

E in realtà, alcuni equilibri hanno già iniziato a spostarsi. Per esempio, è calato il numero dei grossi investitori, i cosiddetti Business Angels che puntano denaro sonante nelle startup più promettenti. A questo si aggiunge la scomparsa dei fondi europei (per effetto dell’uscita dall’Unione), ritenuti strategici per il venture capital. Ma non tutto il male viene per nuocere; Simone Cimminelli, Managing Director di iStarter UK, un acceleratore con sede a Londra, spiega che “oggi è più promettente che mai monitorare Londra. Assisteremo a una conversione, l’indirizzo strategico sarà più tecnologico e meno finanziario”.

Tant’è che, secondo gli esperti, uno dei fulcri del cambiamento consisterà nell’evoluzione del mercato dei pagamenti. Ma non è questo il punto. Ciò che farà davvero la differenza è il sostrato culturale, normativo e i servizi che caratterizzano la City. La chiosa è di Maurizio Ghirga, dirigente per Banca d’Italia:

“A livello di investimenti non cambierà molto. Si tratta di offrire agli investitori un terreno fertile, come la certezza del diritto e un sistema che funzioni. L’investimento dipende dall’ambiente circostante. L’Italia può e deve fare molto. Abbiamo spazio notevole per migliorare.”