Brexit: cosa cambia dal 1° gennaio per italiani e inglesi

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AEMORGAN

News sulla Brexit: cosa prevede l’accordo sulle relazioni future tra UE e UK 

Il momento di dire addio all’UE è arrivato: il 1° gennaio 2021 il Regno Unito è uscito definitivamente fuori dall’Unione. Il 2020, in cui è entrato in vigore l’accordo sulla Brexit, è stato un anno di transizione per avviare un’uscita graduale dall’Unione Europea, così che da quest’anno lo UK sarà definitivamente uno Stato extraeuropeo. Fortunatamente, nella giornata del 24 dicembre 2020, è stato raggiunto l’accordo definitivo tra Londra e Bruxelles sui rapporti futuri tra il Paese e l’organizzazione sovranazionale, dopo mesi di negoziazioni difficili e stalli che hanno fatto temere più volte il delinearsi di un “no deal”, cioè di un’uscita senza accordo.

Cosa prevede l’accordo? Ecco i punti principali (qui invece trovate il testo completo):

    • uscita del Regno Unito dal Mercato Unico e dell’Unione doganale
    • nessuna imposizione di dazi e quote nel commercio tra UE e UK
    • possibilità del Regno Unito di fare accordi commerciali con Paesi extra-UE senza vincoli
    • le aziende britanniche potranno avere un accesso preferenziale al mercato europeo e viceversa, almeno rispetto alle regole stabilite dall’Organizzazione Mondiale del Commercio
    • possibilità di continuare con la cooperazione già esistente in settori come sicurezza, energia e trasporti
    • fine della libertà di circolazione sia per i cittadini UE nel Regno Unito (dovranno seguire la nuova legge sull’immigrazione britannica per lavorare/studiare/trasferirsi) sia per i cittadini britannici in UE (sarà richiesto il visto per soggiorni superiori ai 90 giorni)
    • Il Regno Unito non parteciperà più all’Erasmus + e ad altri programmi di scambio europeo.
    • La pesca (una delle questioni più spinose nel raggiungimento dell’accordo) è stata alla fine regolamentata prevedendo che le imbarcazioni europee riducano del 25% il pesce pescato nelle acque britanniche per i prossimi cinque anni e mezzo (la Gran Bretagna aveva richiesto inizialmente una riduzione dell’80%)
    • Per evitare la concorrenza sleale delle aziende britanniche, si è previsto uno standard minimo ambientale, sociale e sui diritti dei lavoratori sotto il quale non si può scendere
    • In caso di non rispetto dell’accordo (soprattutto sulla parte di concorrenza sleale), sarà istituito un arbitrato super-partes, che preveda anche delle sanzioni (es. introduzione di dazi)
    • Il Regno Unito non sarà più soggetto alla giurisdizione della Corte di Giustizia.

    Cosa succede adesso? Quali sono le conseguenze per gli italiani? Fate un bel respiro profondo: in questo articolo, troverete tutto quello che dovete sapere su cause e significato della Brexit, il riassunto di quello che è accaduto fino a oggi e tutte le ultime notizie su cosa accadrà agli italiani già a Londra e a quelli che hanno intenzione di partire nei prossimi mesi.

    Cosa succede con la Brexit: cosa cambia per chi già vive in UK?

    I più preoccupati sono i 3 milioni di cittadini europei che vivono nel Regno Unito, così come il milione di cittadini UK che vive negli altri Stati Membri dell’UE. Cosa accade adesso che la Brexit sta diventando realtà? 

    Come era la situazione fino al 31 gennaio 2020

    Qualsiasi cittadino UE poteva trasferirsi in un altro Stato Membro e restare, per un periodo superiore ai tre mesi, se era:

    • uno studente;
    • un lavoratore (dipendente o autonomo);
    • una persona che ha le risorse per mantenersi;
    • disoccupato in cerca di lavoro (con alcune restrizioni);
    • familiare di un cittadino UE con i requisiti sopraelencati.

    Per lavorare non era richiesto nessun visto (basta richiedere il NIN) e si poteva accedere alla sanità gratuitamente nella maggior parte dei casi così come ai sussidi pubblici, anche se erano previste delle limitazioni per i cittadini UE (in particolare per i disoccupati).

    Cosa succede dal 2021 per chi già viveva in UK

    Per poter continuare a vivere nel Regno Unito è necessario fare domanda all’EU Settlement Status Scheme, con cui si otterrà il diritto a risiedere in modo permanente in UK. Per ottenere lo status bisogna fare domanda prima del 30 giugno 2021 e la condizione è di essere arrivati (e poterlo dimostrare) in UK entro il 30 dicembre 2020.

    Il sistema può darti uno dei seguenti status:

    Cosa succede dal 2021 per chi arriva in UK

    Quando il periodo di transizione sarà terminato, chi avrà aderito all’EU Settlement Status potrà continuare a vivere nel Regno Unito. Chi invece vorrà andare ad abitare o vivere in UK dal 2021 dovrà fare domanda per un visto lavorativo in base alla legislazione nazionale britannica, che prevederà un sistema a punti: per ottenere un visto bisognerà avere già un contratto, parlare inglese e avere una competenza specifica per svolgere quel tipo di lavoro. Livello di istruzione e stipendio saranno requisiti ulteriori per avere più possibilità di ottenere il visto.

    Conseguenze della Brexit per gli studenti

    Com’era la situazione fino al 31 gennaio 2020

    Gli studenti potevano risiedere e studiare in UK alle stesse condizioni degli studenti britannici. Non avevano bisogno di permessi né visti e pagavano la stessa retta dei locali. Erano previste solo limitazioni per l’accesso ad alcune borse di studio. Si poteva partecipare a periodi di studio, ricerca per la tesi o tirocinio come parte del programma Erasmus +.

    Com’è la situazione dal 2021 per chi già studiava in UK

    Gli studenti dovranno fare richiesta, come specificato prima, per pre-settled o settled status. Continueranno però a poter accedere alle università alle stesse condizioni di prima così come fino alla fine del 2021 sarà possibile partecipare all’Erasmus Plus.

    Com’è la situazione dal 2021 per chi vuole venire a studiare in UK

    Gli studenti dovranno verificare con la propria università se è possibile studiare in UK o meno. Se avete intenzione di partire con uno scambio Erasmus + questo sarà interrotto. Per i nuovi studenti sarà richiesto un visto e l’accesso sarà limitato come per gli studenti extra-europei (con i relativi alti costi di frequenza). Il visto prevede che:

    • abbiate un’università che vi faccia da sponsor
    • conosciate l’inglese
    • abbiate soldi a sufficienza per mantenervi in UK nel periodo di studio
    • abbiate una vera intenzione di studiare in UK

    Vacanza a Londra: cosa cambia per i turisti?

    Com’era la situazione fino al 31 gennaio 2020

    Fino alla Brexit, si poteva andare in vacanza nel Regno Unito con la carta d’identità (o il passaporto). Non occorreva nessun visto. Alla frontiera, inoltre, non potevano essere richiesti ai cittadini UE i motivi del viaggio, l’itinerario, i soldi a disposizione o un biglietto di ritorno.

    Com’è stata la situazione dal 1 febbraio 2020 a fine 2020 (periodo di transizione)

    In questa fase si potrà continuare a viaggiare nel Regno Unito alle stesse condizioni del periodo pre-Brexit.

    Com’è dal 2021

    Dal 2021, non servirà nessun visto per viaggi fino a 6 mesi in UK per motivi turistici, per venire a trovare parenti o amici, per frequentare brevi corsi di studio o per motivi di business, come partecipare a meeting, conferenze ed eventi.

    Brexit: mercato unico e nuova partnership con l’UE

    Boris Johnson ha confermato che il Regno Unito non resterà nel mercato unico, in quanto questa decisione sarebbe contraria alla volontà popolare che si è espressa a giugno 2016, né nell’Unione doganale.

    Di sicuro, questo si tradurrà in nuovi dazi alle frontiere, con costi finali più alti per i consumatori e maggiori controlli alla dogana. Inoltre, dal 1 febbraio, si potrà acquistare solamente in sterline e non più anche in euro (laddove prima era permesso).

    Storia dell’uscita del Regno Unito dall’UE

    Qui trovate tutte le ultime news in ordine cronologico dalla più nuova alla news più vecchia per ricostruire la storia della Brexit.

    Le altre news più recenti sulla Brexit: l’Internal Market Bill – ottobre 2020

    A inizio dell’autunno, ha prevalso la linea dura del governo britannico nei confronti di Bruxelles. La proposta di legge di Boris Johnson chiamata Internal Market Bill va nella direzione di violare l’accordo di recesso firmato dal Regno Unito a gennaio scorso. In pratica, se approvata, la legge violerà l’accordo internazionale concluso tra l’UE e il governo britannico sulla Brexit.

    La decisione di Johnson ha sconvolto non solo Bruxelles e le forze di opposizione inglesi, ma anche parte dei Tories, contrari alla violazione di un trattato internazionale da parte della patria del diritto. Il Primo Ministro, tuttavia, è riuscito a trovare un accordo con i suoi, inserendo nel disegno di legge una clausola per cui il Parlamento deve dare la sua approvazione per andare contro all’accordo di recesso siglato con l’UE (di fatto, però, Johnson ha la maggioranza in Parlamento).

    Perché Boris Johnson vuole violare l’accordo di recesso? Il problema è inerente alla questione irlandese, nodo di scontro tra l’Unione e Londra in questi anni. L’accordo di recesso prevede infatti un controllo preventivo delle merci che dal Regno Unito sono inviate in Irlanda del Nord (e viceversa): questa, nonostante sia territorio britannico, non ha (e non avrà) confini fisici con la Repubblica d’Irlanda (visto che ripristinare un confine violerebbe gli accordi di pace del Venerdì Santo del 1998), e quindi l’UE vuole controllare che siano rispettati i parametri fissati dall’Unione per la qualità dei prodotti che finiscono in circolo nel mercato unico. Inoltre, l’accordo prevede che gli aiuti di Stato per l’Irlanda del Nord rispettino le regole UE per i primi 4 anni dal recesso, in modo da non creare tensioni nell’Ulster. Johnson vorrebbe violare entrambe le disposizioni.

    Boris Johnson vince le elezioni – aggiornamento 15 dicembre 2019

    Giovedì 12 novembre si sono tenute elezioni anticipate nel Regno Unito: Boris Johnson, infatti, non riuscendo a far approvare l’accordo sulla Brexit visto la maggioranza di Conservatori risicata alla Camera dei Comuni, ha deciso di tornare a far tornare i cittadini britannici alle urne. E ha avuto ragione: questa volta, il Partito Conservatore ha ottenuto una vittoria schiacciante pari a 368 seggi su 650 e quindi avrà la possibilità di approvare l’accordo e avviare l’uscita dall’Unione entro il 31 gennaio 2020. Trovate qui i dettagli sui risultati delle elezioni:

    Brexit rinviata al 31 gennaio 2020 – aggiornamento 3 novembre 2019

    L’Unione Europea, per evitare l’uscita del Regno Unito senza accordo, ha concesso una proroga al 31 gennaio 2020. Il termine, in realtà, è flessibile: nel caso il Parlamento britannico approvi prima di questa data l’accordo, la Brexit diventerebbe definitiva in anticipo rispetto alla data finale del 31 gennaio. Tuttavia, Bruxelles esclude la possibilità di rinegoziare o rivedere l’accordo concluso. Intanto, Boris Johnson è riuscito a indire lezioni anticipate per il 12 dicembre, nella speranza di avere un nuovo Parlamento, più incline ad approvare l’accordo in questione. Leggi anche:

    Johnson chiede elezioni anticipate e l’UE apre (forse) al rinvio della Brexit  – aggiornamento 27 ottobre 2019

    Dopo che il Parlamento ha chiesto un rinvio della votazione sull’accordo, Johnson ha deciso di chiedere elezioni anticipate entro la fine dell’anno, precisamente il 12 dicembre, in maniera da avere un nuovo Parlamento entro Natale. Dall’altra parte, chiede ai parlamentari di approvare l’accordo sull’UE entro il 6 novembre. Dall’Unione Europea, nel frattempo, arriva l’apertura a una possibile rinvio: secondo quanto riportato dal The Guardian e Bloomberg, Bruxelles potrebbe proporre al Regno Unito una proroga di 3 mesi, quindi fino al 31 gennaio 2020, per dare tempo al Parlamento britannico di ratificare l’accordo. Nella bozza di dichiarazione, si leggerebbe che il termine sarebbe ridotto nel caso di approvazione dell’accordo (se, ad esempio il sì all’accordo arrivasse il 6 novembre, la Brexit sarebbe effettiva dal mese successivo, ossia dal 6 dicembre), mentre si escluderebbe la possibilità di rinegoziare un nuovo accordo.

    Il Parlamento inglese chiede il rinvio del voto  – aggiornamento 19 ottobre 2019

    Il Parlamento ha approvato l’accordo concluso da Johnson sulla Brexit? La risposta è no: i deputati hanno approvato – con 322 voti a favore e 306 contrari – nella mattina di stamattina l‘emendamento Letwin che rimanda il voto sull’accordo a quando saranno approvate tutte le leggi collegate all’uscita del Regno Unito dall’Ue. Il motivo? Il Parlamento ha paura che se dasse il suo “ok” senza che siano state cambiate le regole per permettere un’uscita regolarizzata, il Governo potrebbe approfittarne per uscire comunque il 31 ottobre con gli stessi effetti che si avrebbe senza aver siglato un accordo.

    Di fatto, però, questa mossa del Parlamento costringerebbe Johnson a chiedere un rinvio della Brexit stessa. Perché? Il Parlamento ha approvato a inizio settembre il Benn Act, che prevede che, nel caso non sia stata validato l’accordo tra UE e UK entro la mezzanotte del 19 ottobre, il Governo debba chiedere il rinvio a una data successiva al 31 ottobre.

    Tuttavia, Johnson non è d’accordo: secondo lui, il Benn Act non lo obbliga a chiedere una proroga, ma è determinato ad andare al voto definitivo lunedì, approvando anche la legislazione attuativa della Brexit: in caso di approvazione, l’uscita avverrà con accordo; nel caso di voto contrario, si uscirà il 31 ottobre senza accordo. La legittimità di questa mossa sta dividendo anche i più attenti studiosi della Brexit: lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, potrebbe addirittura rifiutarsi di inserire in calendario la votazione di lunedì.

    C’è un nuovo accordo tra Bruxelles e Londra – aggiornamento 18 ottobre 2019

    Dopo giorni di trattative non certo facili, abbiamo un accordo. Boris Johnson è riuscito a trovare un compromesso con Bruxelles, aggirando gli ostacoli sulla questione irlandese, prevedendo che la clausola di backstop sia estesa solo all’Irlanda del Nord (e non alla Gran Bretagna): per quattro anni, quindi, l’Irlanda del Nord continuerà ad avere frontiere libere con l’Eire, mentre il confine doganale si troverà, in mare, tra Belfast e la Gran Bretagna. Tra gli altri punti, c’è la previsione di un periodo di transizione per rendere armonica l’uscita dall’Unione e l’adesione del Regno Unito agli standard ambientali europei e in materia di tutela del diritto dei lavoratori.

    Ora, quindi, tutto dipende dal Parlamento britannico: approverà o meno l’accordo domani, sabato 19 ottobre? Questa è senz’altro l’ultima chance per il Regno Unito di uscire dall’Unione Europea evitando il no deal, ma la Houses of Parliament deve dare il sì affinché ciò avvenga e questo risultato non è affatto scontato.

    La Corte Suprema britannica revoca la sospensione del Parlamento – aggiornamento 24 settembre 2019

    Dopo la sospensione per 5 settimane del Parlamento britannico decisa dal premier britannico Johnson e avallata dalla Regina Elisabetta, la Corte suprema di Londra ha dichiarato illegittima tale decisione, invitando le Camere a riprendere i lavori il prima possibile. Questa notizia segna un’altra “sconfitta” per Boris Johnson, determinato a uscire il 31 ottobre dal Regno Unito anche senza accordo, sebbene il Parlamento abbia votato una legge per impedire al Governo UK uno scenario no deal. I laburisti hanno chiesto le dimissioni del premier anche se è improbabile che questi avvengano. Per approfondire, leggete qui:

    Boris Johnson, nuovo Primo Ministro, sospende il Parlamento – aggiornamento 30 agosto 2019

    Dal 24 luglio 2019 Boris Johnson ha sostituito Theresa May come Primo Ministro britannico, dopo le dimissioni dell’ex premier. Johnson, alla guida del partito Conservatore, ha dichiarato fin da subito di voler uscire dall’Unione Europea entro il 31 ottobre 2019, ci sia o meno un accordo. Nonostante le critiche dell’opposizione (ma anche interne al Partito), Boris Johnson sembra determinato a non permettere altri rinvii da parte del Parlamento britannico: per questo, il 28 agosto 2019, ha chiesto alla Regina Elisabetta II di sospendere per cinque settimane il lavoro del Parlamento (dal 10 settembre al 14 ottobre), approfittando dell’annuale chiusura delle camere, per impedire che il Parlamento possa approvare una legge che vieti il “no deal”. La decisione, criticata da tutti i partiti, ha portato alle dimissioni del leader del partito conservatore scozzese, Ruth Davidson, e del capogruppo dei Tory alla House of Commons. È stata aperta anche una mozione contro la sospensione del Parlamento e in tutto il Regno Unito si stanno tenendo proteste contro la decisione.

    Intanto, sul sito del governo UK, è stata creata la sezione Get Ready for Brexit, dove è possibile capire la nostra situazione e cosa succederà dopo il 31 ottobre 2019, nel caso il Regno Unito uscisse senza un accordo.

    Brexit rimandata al 31 ottobre -aggiornamento 11 aprile 2019

    La data del 29 marzo è passato e il Regno Unito è riuscito a ottenere una proroga dall’UE: Londra avrà tempo fino al 31 ottobre 2019 per trovare un nuovo accordo. Niente impedisce al Regno Unito di uscire anche prima nel caso si trovasse un accordo in tempi più rapidi, ma è stata fissata una condizione: il Paese deve partecipare alle elezioni europee di fine maggio. Nel caso si rifiutasse di eleggere i suoi rappresentanti, la data di uscita della Brexit sarebbe fissata e non revocabile al 1° giugno 2019 senza accordo. Per approfondire:

    Theresa May confermata al Governo – aggiornamento 16 gennaio 2018

    La Camera dei Comuni del Parlamento britannico, martedì 15 gennaio, ha rigettato l’accordo sulla Brexit con 432 voti a sfavore (di cui 118 Tories) e 202 a favore. Una grande sconfitta per Theresa May che, nonostante tutto, è riuscita però a rimanere al governo dopo la votazione sulla mozione di sfiducia presentata dal leader dei Labour, Jeremy Corbyn, avvenuta mercoledì 16 gennaio.

    Gli scenari possibili adesso sono pochi e mettono in grande difficoltà il Primo Ministro: se l’ipotesi di un nuovo accordo sembra impossibile in tempi così brevi, le alternative sul tavolo che restano sono: ritardare l’uscita dall’UE, rispettare i tempi e avere una Brexit senza accordo oppure annullarla del tutto. Nello specifico:

    • Prolungamento tempi. È l’ipotesi più probabile: il Regno Unito non rinuncia alla Brexit, ma chiede all’UE di poter continuare le negoziazioni oltre il 29 marzo 2019, data ufficiale dell’uscita. Per potere fare questo, tuttavia, tutti e 27 gli Stati Membri dell’Unione Europea devono essere d’accordo.
    • No deal: l’uscita senza accordo è una possibilità estrema, che in realtà tutti temono. Uscire senza un accordo vorrebbe dire non disciplinare in modo armonico e graduale i cambiamenti di normative, non avere una linea guida sui futuri rapporti con l’Unione e creare coas estremo per quanto riguarda i confini Irlanda del Nord – Repubblica d’Irlanda e per tutti i cittadini UE che vivono in UK e tutti i cittadini britannici che risiedono nell’Unione.
    • Annullamento Brexit. È quello che Corbyn e gli europeisti vorrebbero, ma Theresa May ha ribadito che rispetterà la volontà popolare di andare avanti con l’uscita del Regno Unito dall’Unione.

    Per approfondire:

    L’UE approva la bozza di accordo – aggiornamento 25 novembre 2018

    Dopo la stesura della bozza sull’accordo tra l’UE e il Regno Unito, domenica 25 novembre, durante il vertice dei 27 leader dell’Unione Europea a Bruxlles, tutti gli Stati Membri hanno approvato l’accordo di uscita di Londra dall’UE. Ad annunciarlo è stato Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo, con un tweet in cui cita un verso di una canzone dei Queen, “Friends will be friends, right till the end” (“Gli amici resteranno amici, fino alla fine”).

    Successivamente ha specificato: “Davanti a noi c’è un difficile processo di ratificazione e di ulteriori negoziazioni. Indipendentemente da come tutto questo finirà, una cosa è certa: resteremo amici fino alla fine dei giorni, e un giorno in più”.

    Una separazione amichevole, a quanto pare, anche se i maggiori malumori si registrano all’interno del Parlamento britannico. Il Sunday Telegraph riporta che ci sarebbero ben 91 deputati pronti a bocciare l’accordo quando questo sarà discusso, intorno al 10 dicembre, in Parlamento per il voto di ratifica. Inoltre, la Corte Suprema inglese potrebbe anche annullare il risultato del referendum sulla Brexit del giugno 2018, dopo la denuncia di fondi illeciti alla campagna pro-Brexit.

    C’è bozza di accordo sulla Brexit: aggiornamento 14 novembre 2018

    Sembrava che l’opzione “no deal” fosse sempre più all’orizzonte, ma il 14 novembre è arrivata la notizia di una bozza d’accordo tra Londra e Bruxelles, tanto che Theresa May ha convocato un vertice straordinario del suo governo per discutere della situazione. L’accordo, di 500 pagine, non piace all’ala più conservatrice del partito di Theresa May, ma alla fine il Governo ha approvato la bozza. Qui per saperne di più:

    Brexit, ci sarà un secondo referendum? aggiornamento 30 settembre

    Dopo la proposta di Sadiq Khan di indire un secondo referendum sulla Brexit, anche Jeremy Corbyn, leader del partito laburista, ha aperto alla possibilità di una nuova consultazione popolare sull’uscita del Regno Unito dall’UE visto che ancora non è stato raggiunto un accordo tra Londra e Bruxelles. La conferenza annuale dei Labour, che si è tenuta il 25 settembre a Liverpool, ha approvato una mozione per un secondo voto popolare su Brexit.

    Tuttavia, nel frattempo, il governo di Theresa May ha approvato una proposta per estendere la legge britannica in materia d’immigrazione ai cittadini dell’Unione Europea una volta che Brexit sarà effettiva: per potersi trasferire in UK, cittadini italiani, francesi, spagnoli etc non saranno più privilegiati in base alla nazionalità, ma il loro ingresso per lavorare e risiedere a Londra sarà previsto solo in base al lavoro svolto e alla sua conformità con le necessità del mercato del lavoro inglese.

    Sadiq Khan propone un secondo referendum su Brexit – aggiornamento 17 settembre 2018

    Mentre si fa la strada secondo cui un accordo tra UE e Regno Unito potrebbe essere raggiunto entro fine novembre, Sadiq Khan, attuale sindaco di Londra, ha pubblicamente lanciato una campagna per un secondo referendum sulla Brexit. Per il primo cittadino londinese, infatti, i britannici dovrebbero avere l’opportunità di decidere se rimanere o meno nell’Unione Europea ora che mancano pochi mesi alla Brexit e il governo britannico non ha ancora trovato un accordo con Bruxelles.

    “Senza elezioni politiche all’orizzonte e il tempo che vola via, io chiedo un voto pubblico per stabilire se si voglia rimanere nell’UE. Il Governo sta fallendo nelle negoziazioni sulla Brexit. Adesso affrontiamo il rischio reale di avere un pessimo accordo, o di non averlo affatto. In entrambi i casi, ciò causerebbe un enorme danno a Londra e al Regno Unito”, ha scritto Sadiq Khan sui suoi canali Twitter e Facebook.

    “I cittadini non hanno votato per uscire dall’Ue e diventare più poveri, vedere le loro aziende soffrire, avere i reparti dell’Nhs a corto di personale”, ha continuato, come riporta Il Sole 24 Ore. Per questo motivo, i cittadini britannici dovrebbero tornare a votare con l’opzione di restare in UE.

    Aggiornamento 25 luglio: le dimissioni di David Davis e Boris Johnson

    Nelle ultime settimane si è tornati a parlare molto di Brexit: il governo britannico, infatti, sta vacillando proprio a causa del non accordo sulla linea da tenere con Bruxelles durante le negoziazioni per uscire dall’Unione Europea. David Davis, ministro inglese per la Brexit, e Boris Johnson (ministro degli esteri) hanno deciso di dimettersi criticando la linea “morbida” del premier Theresa May, favorevole (forse) a una Soft Brexit che preveda unione doganale di fatto, sistema mobile per l’immigrazione e accettazione della giurisdizione della Corte di Giustizia dell’UE. Sarà veramente così?

    Per approfondire le ultime news sulla Brexit, leggete anche:

    Data Brexit: quando il Regno Unito uscirà dall’UE

    Segnatevi la data: il 31 gennaio 2020 la Brexit è diventata realtà. Boris Johnson infatti non ha voluto altri rinvii: come sappiamo, infatti, la Brexit sarebbe dovuta diventare effettiva il 29 marzo 2019, due anni dopo che Londra aveva comunicato ufficialmente di volere lasciare l’Unione Europea. Secondo l‘art. 50 TUE, questo è il tempo che deve intercorrere per arrivare a un accordo finale tra le parti (Londra e Bruxelles in questo caso), a meno che, all’unanimità, gli Stati membri dell’UE non decidano di aumentare tale periodo in caso non si sia raggiunta una quadra alla fine dei due anni (eventualità che è appunto si è avverata).

    Cos’è la Brexit? Il riassunto delle cause e di cosa è successo

    Ormai è storia: il 23 giugno 2016 il popolo britannico ha deciso, tramite referendum, di uscire dall’Unione Europea. Un voto popolare promesso dall’allora premier britannico David Cameron, per rispondere ai malumori degli inglesi riguardanti il tema immigrazione europea (dai presunti costi per il walfare alla possibile – e mai avverata – invasione di cittadini europei dell’Est, dalla perdita della cultura nazionale alla tutela dei confini nazionali a causa del terrorismo…).

    Dopo molte proteste da parte degli anti-Brexit e le dimissioni del premier inglese, la decisione di uscire definitivamente dall’UE è stata presa dal nuovo governo May. Come accennato in precedenza, secondo i trattati europei, in particolare l’articolo 50 TUE, è compito del Paese che intende uscire dall’UE comunicare la sua volontà di lasciare l’organizzazione all’Unione Europea.

    Tale comunicazione è avvenuta il 29 marzo 2017:  Theresa May ha scritto una lettera di sei pagine con cui annunciava la decisione del suo Paese di lasciare l’UE, secondo quanto previsto dall’articolo 50 TUE, dettando anche alcuni punti sui motivi e sulle sue aspettative sull’accordo che è al momento negoziato con Bruxelles.

    La lettera è stata consegnata dall’ambasciatore britannico presso la UE, Tim Barrow, a Donald Tusk, presidente del Consiglio UE. “Non c’è ragione di pensare che oggi sia un giorno felice”, ha detto Tusk, “La prima priorità sarà quella di minimizzare le incertezze provocate dalla decisione del Regno Unito”. Il presidente ha poi concluso con una nota malinconica: “Ci mancate già”.

    Theresa May, invece, durante la discussione in Parlamento, a Westminster, ha dichiarato: “È un momento storico, non si torna indietro, Lasciare la Ue ci metterà davanti a opportunità uniche. Ma resteremo sempre alleati dell’Europa”. “I giorni migliori sono davanti a noi, dopo la Brexit. Ho scelto di credere nella Gran Bretagna. Tuttavia, ora più che mai il mondo ha bisogno dei valori democratici dell’Europa”.

    Da questa data, quindi, si è avviato ufficialmente l’iter per la Brexit che è durato, sempre secondo quanto stabilito dall’art. 50 TUE, due anni. In questo periodo, Londra e Bruxelles hanno negoziando un accordo che disciplinava le condizioni di uscita del Regno Unito dall’UE. Tuttavia, il Parlamento britannico non ha approvato l’accordo sulla Brexit concordato tra il governo britannico e l’Unione Europea e si è deciso di rinviare la data di uscita al 31 ottobre 2019. Visto che anche questa data non è stata rispettata si è rinviato ulteriormente l’addio al 31 gennaio 2020. E questa volta la data è definitiva.