Sunak, il premier britannico equilibrista tra promesse elettorali e il fallimento della Brexit

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AEMORGAN

Per mettere a tacere le indiscrezioni delle ultime ore e sedare i mal di pancia, il premier britannico Rishi Sunak è dovuto intervenire e escludere esplicitamente la volontà di perseguire un accordo commerciale privilegiato con l’Unione europea sul modello svizzero. Niente accordi settoriali, dunque, né -mai sia- un allineamento anche solo parziale alle regole del mercato unico. Ma prima o poi qualcuno dovrà ammetterlo: la Brexit è un fallimento, e la certificazione arriva dall’OBR stesso (Office for Budget Responsibility).

In risposta ai giornalisti che lo incalzavano a margine della conferenza della confindustria britannica, Sunak non ha usato mezzi termini. Il dietrofront dei Tory con Bruxelles non s’ha da fare. Non appena si era sparsa la voce di un possibile accordo tra Regno Unito e UE, sono subito partiti i malumori. Ma il premier è stato tranchant:

 “Voglio essere inequivocabile: sotto la mia egida, il Regno Unito non perseguirà alcuna relazione con l’Europa basata sull’allineamento con le leggi UE. Ho votato per la Brexit, credo nella Brexit e so che la Brexit può offrire e sta già offrendo enormi benefici e opportunità per il Paese”

Mistero su quali siano questi “enormi benefici.” La manodopera scarseggia, l’inflazione è alle stelle, e l’OBR conferma che la Brexit ha causato un “impatto negativo significativo” sui volumi commerciali e sulle relazioni tra le imprese di Regno Unito e UE, pari a un -4%. Non passa giorno che non si levino grida di protesta da parte di commercianti, camionisti, agricoltori, albergatori, strutture mediche, esperti e persino artisti. La burocrazia commerciale è diventata un incubo e il lavoro non qualificato è in perenne deficit di manodopera.

Ma la verità è che, oltre al benedetto “controllo dei confini”, la Brexit non ha portato nessun altro vantaggio; detta in modo brutale, un pezzetto di benessere è stato barattato in cambio di un po’ di sovranità. Ma tutte le altre promesse sono state disattese. Non è vero che l’Erasmus sarebbe rimasto, né è vero che “nessuno sta minacciando il nostro posto nel Mercato Unico.” E non è vero neppure che il Regno Unito abbia ottenuto condizioni migliori delle precedenti.

La (Tardiva) Maggioranza Remain

Non a caso gli ultimi sondaggi danno il Remain al 57%, ed ecco perché non sorprendono le parole di Andrew Neil, secondo cui questa è “la settimana in cui è morta la Brexit.” Non lo ammetteranno mai, perché bisognerebbe ammettere che la Brexit è uno sbaglio, un enorme atto di autolesionismo. E poi chi li sente i numerosi euroscettici del partito conservatore?

Ed eccolo lì, Sunak, neo-premier funambolo, costretto a blandire i suoi da una parte e a gettare le basi per una cooperazione più pervasiva con la UE dall’altra. Un accordo di tipo “svizzero” implicherebbe complessi concordati settoriali per ottenere un allineamento parziale ma di ampio respiro. Tradotto in soldoni, parliamo di un accesso al mercato unico su molte merci, in cambio dell’adesione a Schengen e riconoscimenti economici al Blocco. Cioè quella libertà di movimento e quei soldi alla UE da cui è partito tutto.

Il numero 10 ha formalmente negato che l’opzione sia sul tavolo ma intanto, col piede, tiene aperta la porta a accordi più stretti con la UE. Perché è l’unica cosa sensata da fare. Perché banalmente non ha senso -dal punto di vista logistica, ecologico, pragmatico e geopolitico- stringere accordi (fallimentari) con l’Australia che sta dall’altra parte del globo terracqueo. Ma soprattutto non si può tenere in piedi il pastrocchio del protocollo dell’Irlanda del Nord così com’è. È folle e bisogna denunciarlo.

E segnatevi queste parole: arriverà il giorno in cui qualcuno ciancierà di tradimento. Ma fino a che punto si può ragionevolmente credere di perseverare in un diabolico errore, solo per difendere l’amor proprio? A questo punto, temiamo di conoscere la risposta.